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FIUMEFREDDO BRUZIO

Questo splendido paese conserva ancora il fascino dei borghi medievali giacchè entrandoci da una delle quattro porte che interrompevano la cinta muraria medievale con duplice cortina e torre circolare, detta la Torricella, sembra di tuffarsi nel passato. Una di queste porte che si ravvisano tra le muraglie merlate con resti di strutture appartenenti a torri di guardia e di difesa, è chiamata Goletta in memoria della partecipazione di Alargon all’impresa di Tunisi.

Di origine medievale, si vuole che prendesse il nome dalle vicine acque chiare e fresche. Nel 1201 era infeudato a Simone Mammistra, nel 1270 a Giovanni Bronio de Freny, poi ai Sanseverino, ai De Cardona, al duca di Somma e nel 1528 agli Alargon Mendoza marchesi di Rende fino al 1806.

Varcata la Porta di Sopra o Susa addossata alle mura di cinta, si erge la chiesa matrice col titolo di S. Maria Immacolata. Presenta due portali con capitelli e cornicioni, opera di scalpellini calabresi del 600. L’interno è mononavato con pavimentazione in marmetti e, nel presbiterio, in maiolica napoletana del 600. All’ingresso, crocifisso ligneo secentesco. A destra, al di sopra dell’altare dedicato al SS. Sacramento, è posto un dipinto del pittore locale Pascaletti raffigurante la Madonna del Carmine, una delle opere migliori dell’artista, che, a quanto riporta la tradizione orale, fu sfregiata dalle armate francesi nel 1807. Inoltre, una tavola raffigurante la Madonna col Bambino dipinta da Pietro Negroni nel 1552; una tela della Madonna del Rosario con santi in adorazione, di Nicola Menzele del 1770; due statue lignee raffiguranti rispettivamente l’Immacolata e San Giuseppe; un grande crocifisso ligneo scolpito a tutto tondo e a figura intera dipinto dal vero da statuario meridionale del sec. XVIII; cassa armonica del vecchio organo. Poi, calici, ostensori, reliquiari e corona della Vergine del Carmine. Appartiene al patrimonio di questa chiesa ma è custodita a cura delle locali autorità ecclesiastiche, una piccola icona della Madonna del Rosario con cornice d’argento e gemme legate in oro, poggiante su un’aquila gentilizia d’argento finemente lavorata a cesello, alta cm. 22.

Nella cappella dell’Immacolata, dell’omonima confraternita, pala daltare raffigurante lImmacolata con santi, dipinta dal Pascaletti; nella navata, dipinti di Genesio Gualtieri e di Francesco de Mura. La cattedra lignea e le panche sono opera della bottega dei Lattari di Fuscaldo.

Proseguendo verso sinistra, si giunge al castello, in bella posizione per la sua ampia veduta sulla costa tirrenica. Appartenne al duca di Somma, e, dopo che questi cadde in disgrazia presso l’imperatore Carlo V, passò al Marchese di Rende. Fu gravemente danneggiato dai Francesi nel 1807 per ordine del generale Reynier. Originariamente, doveva essere costituito da due piani con ampi e spaziosi locali e con tutti i servizi di cui era dotato un castello feudale (sotterranei, gallerie, prigioni, nascondigli, passaggi segreti); certamente aveva un ponte levatoio girevole per consentire l’entrata nel maniero e sormontare il vasto fossato che lo isolava dal paese. Oggi è in condizioni disastrose e anche gli affreschi di Salvatore Fiume, versano in stato di avanzato degrado. Ritornando verso il centro, a sinistra, il vecchio ospedale.

Più avanti, in Via Roma, a sinistra il palazzo dei Marchesi Gaudiosi con lo stemma scolpito sul portone; sulla destra, palazzo Del Bianco. In Piazza Vittorio Veneto, palazzo della Piazza, con il bel portale, purtroppo degradato. Nell’atrio, stemma nobiliare dei Pignatelli, principi di Belmonte, che vi dimorarono nel 600. Alcuni locali del piano terra, anticamente, erano utilizzati quale sede del tribunale.

A qualche decina di metri, sulla sinistra, palazzo De Morelli; accanto, chiesa dell’Addolorata, costruzione del sec. XVII con facciata barocca frutto del lavoro di artieri locali. L’interno decorato a stucchi barocchi, ha un pavimento con piastrelle verniciate a fuoco e conserva l’immagine della titolare con statue processionali. In Via S. Domenica si erge il palazzo Mazzarone. Dalla parte opposta, prima della panoramica sulla Torretta, chiesa di San Francesco di Paola, addossata all’ex convento dei Minimi, oggi sede del Municipio. Costruita sui ruderi di un edificio preesistente dedicato a San Nicola, ha la facciata costruita a blocchi squadrati, portale classico con colonne di breccia rossa e appariscente fastigio a stucchi in stile barocco, eseguiti dall’artiere locale De Maria. All’interno, lapide sepolcrale degli Alargon Mendoza (XVII secolo), e tomba del pittore Pascaletti.

La chiesa di Santa Chiara, eretta nel 1552 e adibita ad oratorio delle Clarisse nel 1616, ha portale di reminiscenza durazzesca. Bella la secentesca loggia delle Clarisse. L’interno con soffitto ligneo a cassettoni, opera di artigiani locali, rifatto nel 1958, presenta un pavimento maiolicato policromo opera di maestranze partenopee ispiratesi al monastero napoletano di Santa Chiara. Inoltre, tre altari in legno scolpiti e dorati. Sull’altare maggiore, in una cornice lignea intagliata a grande rilievo ornata con cariatidi scolpite a tutto tondo e al naturale con cimasa recante tre angeli a tutti rilievo, è racchiusa la Madonna col Bambino e i Santi Francesco d’Assisi, Chiara, Antonio da Padova e Antonio Abate, opera di Giuseppe Castellano; sull’altare sinistro, San Nicola di Bari salva il fanciullo coppiere, pregiata tela del Solimena; su quello destro dedicato a Santa Lucia, Pietà tra Santa Lucia e San Francesco Saverio, tela di ignoto meridionale del 700. Anche quest’opera è attribuita da uno studioso locale al Pascaletti.

Meritevoli di una visita sono senz’altro il palazzo Pignatelli e soprattutto la chiesa di San Rocco, di forma esagonale e di origine settecentesca, in stile barocco ove è possibile ammirare degli affreschi di Salvatore Fiume. Fuori dalla cinta di mura, sulla strada che conduce a Cerisano, si erge la chiesa del Carmine, struttura conventuale eretta in stile gotico nel sec. XV, con rimaneggiamenti ed aggiunte del 1760; venne distrutta nel 1806 e ristrutturata nel 1906. Il portale ad ogiva del 400 è adornato da sagomatura e capitelli. Il rosone circolare ed una cupoletta a pignone ne fanno un insieme gradevole. Anche il campanile ha una singolare cupola che richiama le coperture dei trulli. L’interno mantiene ancora alcuni elementi della primitiva struttura, specialmente le cappelle trecentesche.

Interessante la cappella che conserva una statua ed un quadro raffiguranti San Vincenzo Ferreri, che ha la caratteristica copertura a pignone costruita col sistema delle schegge silicee saldate a corone concentriche con diametro decrescente; dietro l’altare maggiore, sulla parete absidale, tela deteriorata raffigurante la Madonna del Carmine modellata anche in una bella statua posta nei pressi dell’arco trionfale. Qua e là, frammenti di elementi architettonici e di stemmi nobiliari.

Poco distante in località Badia, sorge la chiesa dell’Abbazia di Fontelaurato. Di origini benedettine (XI secolo), o, secondo alcuni, basiliane (si vuole fosse dedicata a San Diocleziano), l’antica chiesa di Santa Domenica fu donata allo stesso Gioacchino da Fiore da Simone Mammistra feudatario di Fiumefreddo e potente giustiziere di Valle Crati e Terra Giordana. Nella seconda ipotesi, risulta evidente che la trasformazione fu favorita dai Normanni in ossequio alla chiesa di Roma. Non è chiaro quando vi si stabilirono i Cistercensi nè se il loro primo monastero fu Fontelaurato o la Sambucina. E certo, invece, che la nuova fondazione florense voluta da Gioacchino da Fiore, ben presto, diviene celebre e potente. Tuttavia, già verso la metà del XIV secolo, la sola presenza di un religioso e di due novizi, lascia pensare ad un segno di decadenza che tocca il suo culmine quando, nel 1496, papa Alessandro VI nomina, quale abate commendatario, un ragazzo di dieci anni. Dopo un breve segnale di ripresa dovuto al passaggio del monastero ai Cistercensi (1570), l’abbazia ripiomba nella vita anonima e grigia.

I Francesi nel 1806 ne decretano la fine sia giuridicamente che militarmente; vengono addirittura uccisi l’abate e due monaci. Nel 1813 anche gli ultimi averi sono venduti per il prezzo di 16.871 ducati ai fratelli Mazzarone per cui l’antica abbazia diviene proprietà privata. Nonostante l’edificio rechi i segni del tempo, e, soprattutto, della mano dell’uomo, restano ben visibili le parti principali della chiesa, essendo praticamente scomparsa o accorpata a costruzioni civili posteriori la zona del convento. In ogni caso, inizialmente, conviene dare un’occhiata dall’esterno per avere un’idea dell’abside che è ancora quella originale seppur seminterrata, dominata da due contrafforti radiali inseriti tra le tre finestre monofore. I resti del porticato, posto innanzi al prospetto principale, hanno degli elementi in comune con l’archicenobio di San Giovanni; belle le tre arcate. Il portale d’ingresso, ad arco acuto, è fiancheggiato da due affreschi raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. L’interno, colpisce per la sua ampiezza - cosa che dall’esterno viene sottovalutata - e richiama la casa madre di Gioacchino almeno per le cappelle laterali dell’abside che comunicano col presbiterio attraverso due porte, accentuando il senso longitudinale degli spazi.

E' chiaro che l’impostazione data da Gioacchino all’edificio, dettata dalle esigenze della sua regola, dovette adeguarsi alle strutture dell’antica chiesa di Santa Domenica, specie per quanto attiene alla forma circolare dell’abside la quale, attualmente, è adibita dai proprietari a cappella cimiteriale. L’ex convento adiacente alla chiesa presenta ancora gli elementi dell’epoca di Gioacchino; il chiostro, con archi a tutto sesto, sebbene rechi tracce di successive manomissioni, mantiene ancora intatto il suo antico fascino. Tra le poche opere rimaste nella chiesa si segnalano: un crocifisso attribuito a frate Umile da Petralia, ma di probabile scuola spagnola del 500; un trono in legno lavorato del 500; una tela seicentesca in pessime condizioni raffigurante San Bernardo; sull’altare, dipinto che raffigura Santa Maria di Fonte Laurato e, sotto, in un’urna mai aperta, statua seicentesca di Santa Filomena. La chiesa allo stato attuale (anno 1991) è inagibile e in non buone condizioni.

Poco distante da quest’ultima, all’esterno, sgorga una sorgente ove la Madonna sarebbe apparsa all ‘abate Gioacchino; da questo miracolo, e dalla presenza copiosa di alberi di alloro, sarebbe poi derivato il nome dell’abbazia: Fonte Laurato. Fino agli anni sessanta, in Fiumefreddo veniva allestito un suggestivo presepe a cura del parroco don Giuseppe. La particolarità della sua opera non consisteva solo nel fatto che egli costruiva da sè i pastori (che si possono ammirare al Museo Nazionale delle tradizioni popolari dell’Eur a Roma) ma anche nel tema del presepe e in vari altri curiosi aspetti. Per esempio, egli non stimava l’arcivescovo, e questi lo si vedeva rappresentato nel suo presepe, magari relegato in un sottoscala, oppure non andava d’accordo con le monache locali e le raffigurava in una sorta di inferno con tanto di fiamme e diavoli.

Tratto da "L.Bilotto" - Itinerari culturali della provincia di Cosenza

 

DEL BUONO F., Fonte Laurato, Amantea, 1993;

FRANGIPANE A., Le rupi e le arti a Fiumefreddo, in "Brutium" XLIII (1964) n.4, pp. 8-10;

PUGLIESE G., Fiumefreddo Bruzio, Cosenza 1972;

TORALDO P., Fiumefreddo Bruzio, note di storia ed arte, Tip. Vescovile, Tropea 1927;

TORALDO P., Fiumefreddo Bruzio ed il suo cenobio florense, in "Brutium" VI (1927) n.4, p. 3; n. 5. p. 2; n. 6, p. 2-3;

VERARDI L., Fiumefreddo Bruzio e il suo castello, Calabria letteraria ed., Soveria M., 1989;

IDEM, Le abbazie florensi, Fonte Laurato anno 1201, Cosenza, ed. Or. Me, 1995;

WILLEMSEN C.- ODENTAL D., Calabria destino di una terra di transito, Laterza, Bari, 1967, p. 32.

 
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